Scuola media: per la Fondazione G. Agnelli è l’anello debole


Presentato a Roma il Rapporto sulla scuola in Italia 2011

Fondazione Giovanni Agnelli – 30 novembre 2011

In libreria a dicembre per Laterza, il Rapporto della Fondazione Agnelli è dedicato quest'anno alla crisi della scuola media italiana

La scuola media è davvero l’anello debole della scuola italiana. Lo suggeriscono le rilevazioni internazionali, secondo le quali gli studenti italiani sono quelli che patiscono la più profonda flessione dei propri risultati di apprendimento nel passaggio dalle scuole elementari alla media, come pure la cattiva reputazione che la secondaria di primo grado oggi gode presso l’opinione pubblica, le famiglie e nello stesso mondo della scuola. Lo confermano nuove ricerche realizzate dalla Fondazione Agnelli e rese pubbliche nel suo Rapporto sulla scuola in Italia 2011.

Il Rapporto sulla scuola in Italia 2011 è stato presentato oggi a Roma dal direttore della Fondazione, Andrea Gavosto, presso la sede degli Editori Laterza, per i cui tipi il volume sarà in libreria ai primi di dicembre. Alla presentazione hanno partecipato Alessandro Laterza (amministratore delegato Laterza), Maria Sole Agnelli e John Elkann (presidente e vicepresidente della Fondazione Agnelli).

Il Rapporto mette in luce come sia proprio alle scuole medie che esplodono in modo drammatico i divari di apprendimento determinati dall’origine socio-culturale degli studenti, che invece le scuole elementari riescono a contenere con successo. La probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati, quella di uno studente straniero nato all’estero e scolarizzato in Italia è addirittura venti volte superiore a quella di un italiano. I divari sociali di apprendimento che nascono alle medie rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata. Questi divari e ritardi diventano, infatti, irrecuperabili alle superiori, generando la grave piaga dell’abbandono, mettendo a rischio il futuro di troppi ragazzi e, in definitiva, privando il Paese di risorse umane preziose in una fase storica così difficile e incerta.

Il Rapporto rivela, inoltre, che gli insegnanti della scuola media sono i più anziani (età media, oltre 52 anni, con moltissimi concentrati nella fascia intorno ai 58 anni) e i meno soddisfatti della loro preparazione complessiva, oltre a essere coinvolti nel più vorticoso turnover di cattedre di tutta la scuola italiana: 35 docenti di scuola media su 100 non insegnano l’anno dopo nella stessa scuola, con le prevedibili conseguenze negative per la continuità didattica dei loro allievi.

Occorre affrontare presto e con energia questa profonda crisi della scuola media, che da molti anni ha smarrito la propria identità e il senso della sua missione (non riuscendo a essere efficace, ma nemmeno equa). Occorre ridarle una missione chiara (essere più efficace, innanzitutto perché più equa) aggiornando le sua offerta pedagogica e didattica, attraverso (1) un forte orientamento alla personalizzazione dell’insegnamento da realizzarsi attraverso un’estensione del tempo scuola con una vera “scuola del pomeriggio”; (2) maggiore attenzione alla progettazione comune degli insegnanti; (3) un arricchimento della “cassetta degli attrezzi” dei docenti che permetta loro soluzioni didattiche che integrino o sostituiscano la lezione frontale (ad es. il cooperative learning); (4) una valorizzazione pedagogica del modello dell’istituto comprensivo (e del curricolo verticale), diffusosi e oggi generalizzato quasi esclusivamente per ragioni di contenimento dei costi, ma di cui le ricerche della Fondazione indicano una evidente superiorità dal punto di vista degli apprendimenti; (5) una seria riflessione nazionale sul tema dell’essenzializzazione delle materie. Perseguendo queste priorità, sarà possibile rendere la scuola secondaria di primo grado più adatta alle esigenze di allievi preadolescenti, nel pieno di una delicata transizione dal punto di vista cognitivo, psicologico e relazionale.

Una scuola media rinnovata, più efficace e insieme più equa, deve essere uno degli obiettivi di politica scolastica fondamentali nel prossimo futuro, a cui dedicare attenzione e investimenti. La prima condizione per realizzarlo è approfittare della finestra di opportunità offerta dal prossimo pensionamento di decine di migliaia di insegnanti delle medie per realizzare un serio e profondo rinnovamento del corpo docente, attraverso soluzioni di reclutamento (chiamata diretta o concorso) orientate in modo specifico alla secondaria di primo grado, che permettano di verificarne l’effettiva preparazione sul piano disciplinare come su quello pedagogico-didattico, quest’ultimo in particolare oggi assai carente.

 

 

I tagli hanno distrutto le medie

ItaliaOggi - 29 novembre 2011 – A. Ricciardi, G. Scancarello

É l'anello più delicato del sistema d'istruzione e che la politica ha trattato peggio negli ultimi decenni, la scuola media. Ed è da lì che si deve ripartire. Con buon tempismo rispetto all'insediamento del nuovo ministro dell'istruzione, Francesco Profumo, la Fondazione Agnelli presenta oggi a Roma un nuovo rapporto sulla scuola 2011 tutto dedicato alla scuola media.

Vittima dei tagli, a risorse e personale, ma anche di mancate politiche di riordino. Il rapporto, elaborato in base ai dati Timss, evidenzia come l'Italia sia il paese con il calo degli apprendimenti più netto tra elementari e medie. Se in Norvegia c'è un tasso di crescita di 18 punti su 500 per la matematica, per esempio, l'Italia su ne perde 23. EW non va meglio in scienze, dove ne perde 21. É insomma in questo segmento che si creano quei deficit di apprendimento che poi diventeranno decisivi alle superiori, segnando il destino di molti ragazzi che sceglieranno prima i professionali e poi la dispersione scolastica. E gettando la scuola italiana in fondo alle classifiche internazionali. Di chi è la colpa? Mentre per la primaria e la secondaria si è intervenuti nel tempo, ragiona la Fondazione guidata da Andrea Gavosto, combinando le esigenze di riduzione delle piante organiche con maggiore disponibilità di professionalità a vantaggio della didattica, alle medie sono rimasti tutti alla finestra. E così, «poiché già nella seconda metà degli anni settanta i tassi di scolarità della media avevano raggiunto e superato il 100% al lordo delle ripetenze, gli andamenti demografici declinanti non hanno trovato una compensazione nella maggiore partecipazione scolastica, com'è avvenuto alle superiori». Dal 1985 a oggi, spiegano i ricercatori, la scuola media ha mantenuto fisso intorno a 9 il rapporto alunni-docenti, «a testimonianza di un'elevata capacità di adattamento tra domanda e offerta formativa, assolutamente inusuale per il nostro settore pubblico». Ma nel frattempo la classe docente della scuola media ha subito il processo di invecchiamento più forte.

Mentre l'andamento alle superiori la maggioranza degli insegnanti è compresa tra i 50 e i 60 anni, alle medie la media è tra i 58 e i 60 anni. Se a questo si aggiunge anche l'elemento retributivo, che vede gli insegnanti italiani fra i meno pagati al mondo, sia all'inizio della carriera sia nel suo proseguo, fino al massimo dell'anzianità di servizio, è difficile immaginare come una classe docente che arriva al ruolo tardi e malpagata possa anche coltivare l'entusiasmo dello stare in classe con studenti, i preadolescenti, che vivono tra l'altro i problemi maggiori della crescita. C'è poi un fattore che continua a incidere sulla vita del discente, che è l'elevatissima discontinuità didattica dovuta al cambiamento dei docenti in cattedra da un anno scolastico all'altro.

Nelle scuole medie solo due docenti su tre rimangono nella stessa scuola per un biennio, causa trasferimenti, di città o di scuola. L'effetto di questa discontinuità ha un peso maggiore soprattutto sugli studenti più deboli. A tutto questo va aggiunto che nelle scuole medie la quota di insegnanti precari è maggiore rispetto agli altri gradi di scuola: «Il 20% dei docenti ha un contratto a tempo determinato, contro il 17% alle superiori e il 13% alle elementari». Come dire, piove sempre sul bagnato.

 

 

 

 

 La sintesi del rapporto
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